Le sfere d'acciaio sono dappertutto: nelle confezioni degli smalti per le unghie, per garantire una fluidità costante, in fondo agli stick per rossetti, quasi a bilanciarne il peso, nelle guide per i cassetti o sulle porte scorrevoli degli armadi. E naturalmente, sono tantissime nelle auto e nel settore automotive. Milioni e milioni di sfere. Che d'ora in poi saranno quasi tutte made in China.
Daniela Bonacina, la signora delle sfere, si è arresa: contro i cinesi è una partita persa, visto che riescono a vendere a un terzo dei costi italiani. Daniela e i suoi fratelli, Roberto (responsabile commerciale), Massimo e Mario (impegnati nella produzione) non ce la fanno più a sostenere i costi dell'energia più alti d'Europa (Irlanda esclusa) per far girare i voraci motori ad alta potenza. Sono stufi di pagare fior di quattrini e riempire pagine di formulari per gli sfridi di acciaio, che una volta erano riciclati nelle fonderie e ora, classificati come rifiuti industriali non pericolosi, sono una fonte inenarrabile di lavoro, burocrazia e fatture da pagare a suon di migliaia di euro per materiale che potrebbe essere adeguatamente riciclato. Non ce la fanno più a far partire i camion dalla Brianza, dove è più facile arrancare a dieci chilometri all'ora invece di "correre" a 60, senza sapere quando le consegne saranno effettuate. Finito, chiuso.
La Bbsfere di Carate Brianza chiude dopo 62 anni di onorata attività e dopo essere arrivata ai vertici europei nella produzione di sfere d'acciaio. I fratelli Bonacina chiudono, «stanchi, demoralizzati e amareggiati». Ora sono impegnati nella liquidazione volontaria delle attività «perché vogliamo uscire a testa alta da questa situazione». Stanno trattando per vendere i complessi macchinari, a controllo numerico, a un concorrente francese e a uno tedesco, tra i pochi rimasti in attività: «Abbiamo visto che entrambi hanno problemi di spazio, ma hanno declinato il nostro invito a produrre a Carate Brianza, dove abbiamo le linee produttive sviluppate su 20mila metri quadrati e terreni per le attività collegate, come il trattamento per gli sfridi. In Italia non ci vogliono venire. E li capisco».
La mazzata che li ha convinti a chiudere si è giocata nel giro di otto secondi, quando hanno inviato per via telematica un progetto destinato al risparmio energetico e al recupero e riciclaggio degli sfridi di acciaio. Era il giorno del click day per ottenere gli incentivi per ricerca e sviluppo. Daniela spiega: «Abbiamo speso fior di quattrini con consulenti e professionisti che hanno redatto un bel programma. Ma sono bastati otto secondi per rimanere fuori dagli incentivi. Spiacenti - ci hanno scritto - ma i fondi sono esauriti». Eppure la Bbsfere le ha tentate tutte, ma proprio tutte, per restare competitiva e continuare l'attività fondata dal padre nel febbraio del 1947 in un porticato di Besana Brianza, con macchinari progettati e costruiti dallo stesso Bonacina: «Per noi fratelli è un vero dramma chiudere l'attività dove nostro padre aveva messo passione, intelligenza e i fondi che aveva». In questi 62 anni hanno ampliato l'attività fino a diventare tra i maggiori produttori europei, con un un centinaio di dipendenti, rilevando anche una società concorrente in provincia di Treviso. Nei tempi d'oro erano arrivati a lavorare 20 tonnellate d'acciaio al giorno, producendo microsfere da 1,5 millimetri fino alle enormi sfere da 200 millimetri, pesanti 36 chili l'una, destinate a una megascavatrice dell'Australia. Esportavano il 40% della produzione. Sempre con un occhio all'innovazione e al controllo di qualità: nell'automotive sono richiesti alti standard di precisione. Daniela ricorda: «Ho ben presente quando alla Volkswagen hanno mugugnato per aver trovato due sfere fuori standard su un milione di pezzi consegnati». Tempi eroici, quelli. Durati fino al 2002, quando sono arrivati i cinesi. Allora sono iniziati i problemi che hanno costretto i Bonacina a chiudere. La loro storia imprenditoriale condensa il dizionario di tutti i mali che pesano, frenano, umiliano e annichiliscono le piccole imprese italiane.
A come aiuti pubblici
«Zero assoluto. Non abbiamo avuto un euro in tutti gli anni d'attività e nemmeno un euro in occasione del click day. Quando abbiamo chiesto interventi pubblici per la questione dei rifiuti o per frenare l'import cinese abbiamo trovato parole, poche promesse e nessun aiuto concreto».
B come banche
«Una vergogna. A Treviso dovevamo pagare a UniCredit altissime commissioni di massimo scoperto anche quando non superavamo i limiti previsti. Abbiamo protestato, ma formalmente era tutto previsto dalle clausole scritte in corpo 4. Roba da denuncia. Intesa Sanpaolo ci ha chiuso le linee di credito al minimo segnale di difficoltà dopo 62 anni di pagamenti puntuali. Solo le banche territoriali, in particolare il Banco di Desio, ci sono state vicine, hanno capito i problemi e la volontà di andare avanti. Ma non è bastato».
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